Oriana Fallaci, sulla libertà e la famiglia.
« Udrai molto parlare di libertà. Qui da noi è una parola sfruttata quasi quanto la parola amore che, te l’ho detto, è la più sfruttata di tutte. Incontrerai uomini che si fanno fare a pezzi per la libertà, subendo torture, magari accettando la morte. Ed io spero che sarai uno di essi. Però, nello stesso momento in cui ti farai straziare per la libertà, scoprirai che essa non esiste, che al massimo esisteva in quanto la cercavi : come un sogno, un’idea nata dal ricordo della tua vita prima di nascere, quando eri libero perché eri solo. Io continuo a ripetere che sei prigioniero lì dentro, continuo a pensare che hai poco spazio e che d’ora innanzi starai perfino al buio : ma in quel buio, in quel poco spazio, tu sei libero come non lo sarai mai più in questo mondo immenso e spietato. Non devi chiedere permesso a nessuno, aiuto a nessuno, lì dentro. Perché non hai accanto nessuno ed ignori cosa sia la schiavitù. Qui fuori, invece, avrai mille padroni. E il primo padrone sarò io che senza volerlo, magari senza saperlo, ti imporrò cose che sono giuste per me non per te. Quelle belle scarpine, ad esempio. Sono belle per me ma per te ? Griderai ed urlerai quando te le infilerò. Ma io te le infilerò lo stesso, magari sostenendo che hai freddo, e un po’ alla volta ti ci abituerai. Ti piegherai, domato, fino a soffrire se ti mancheranno. E questo sarà l’inizio di una lunga catena di schiavitù dove il primo anello verrà sempre rapprensentato da me, visto che tu non potrai fare a meno di me. Io che ti nutrirò, io che ti coprirò, io che ti laverò, io che ti porterò in braccio. Poi incomincerai a camminare da te, mangiare da te, a scegliere da te dove andare e quando lavarti. Ma allora sorgeranno altre schiavitù. I miei consigli. I miei insegnamenti. Le mie raccomendazioni. La tua stessa paura di darmi dolore facendo cose diverse da quelle che ti avrò insegnato. Passerà molto tempo, ai tuoi occhi, prima ch’io ti lasci partire come gli uccelli che i genitori buttano fuori dal nido, il giorno in cui sanno volare. Infine quel tempo verrà, e io ti lascerò partire, ti lascerò attraversare la strada da solo, col verde e col rosso. Ti ci spingerò. Ma quelsto non aumenterà la tua libertà perché mi resterai incatenato con la schiavitù degli affetti, la schiavitù del rimpianto. Alcuni la chiamano schiavitù della famiglia. Io non credo alla famiglia. La famiglia è una menzogna costruita da chi organizzò questo mondo per controllare meglio la gente, sfruttarne meglio l’obbedienza alle regole. Ci si ribella più facilmente quand si è soli, ci si rassegna più facilmente quando si vive con altri. La famiglia non che è il portavoce di un sistema che non può lasciarti disubbidire, e la sua santità non esiste. Esistono solo gruppi di uomini e donne e bambini costretti a portare lo stesso nome ed abitare sotto lo stesso tetto : detestandosi, odiandosi, spesso. Però il rimpianto esiste, e i legami esistono, radicati in noi come alberi che non cedono neanche all’uragano, inevitabili come la fame e la sete. Non te ne puoi mai liberare, anche se ci provi con tutta la tua volontà, la tua logica. Magari credi di averli dimenticati e un giorno riaffiorano, irrimediabilmente, spietati, per metterti la corda al collo più di qualsiasi boia. E strozzarti. »
Oriana Fallaci, Lettera a un bambino mai nato (Milano : Rizzoli, 1975).
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