* in italiano *
Appunti italiani (06) : wifi o non wifi, that is the question
Stavo pensando al fatto che, quando sono in Svizzera, ogni mattina, per andare al lavoro da Ginevra, mi piace prendere il Ginevra-Milano-Venezia Santa Lucia. Ovviamente, mi fermo a Losanna, anche se la tentazione è ogni volta più grande di continuare il viaggio.
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Tutto s’è fatto perfettamente : ieri sera, verso le 18.30, sono arrivato a Bologna da Pesaro, ed ho verificato orari e costi per Venezia – siccome ora ci sono due compagnie di ferrovie, Trenitalia ed Italo (Italo fa solo le grande linee collegando le grandi città), ho comparato i prezzi, e quello d’Italo, un diretto, costa trentotto euro ogni viaggio, e ce ne sono due all’ora.
Questa mattina, sono andato al tabacchaio vicino all’albergo, in anticipo mi sono comprato cinque biglietti di trasporti pubblici (costano €1.30), ho preso il bus (che passa proprio davanti all’albergo, dove c’è la fermata), sono arrivato alle ore 9.20 in Stazione Centrale, ho guardato per fare il biglietto, ho visto che c’era un treno alle ore 9.25, ed era un po’ tardi, ma pensandoci bene, ho visto che aveva dieci minuti di ritardo.
Il ritardo dei treni è la provvidenza dei viaggiatori, in certi casi. Ho fatto il biglietto, ed eccomi sul treno in partenza per Venezia.
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Il tempo è coperto, oggi. Sulla TV hanno detto che ci sarebbero tormente, ma non m’importa, tanto Venezia è bella in ogni circostanza – e poi, c’è la Biennale, e spero di poter vedere un massimo di cose, perchè chissà quando ci potrò ritornare?
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Ieri sera, soffocante l’aria all’arrivo a Bologna, sui trentasei gradi.
Poi, fidandomi al percorso che m’ero appuntato per arrivare all’albergo Giardinetto – un po’ isolato, bisogna dirlo, anche se, in dieci minuti, si giunge al centro storico – ho camminato sui grandi viali periferici che circondano la città storica, colle loro successive Porte (Porta Mascarella, Porta San Donato, Porta San Vitale...) per arrivare alla via Massorenti 76, proprio a sinistra di Porta San Vitale.
Molto pulito, l’albergo. Mi è costato €40 la notte e c’è l’aria condizionata che, per una volta, ho accolto con moltissimo piacere (ho dormito benissimo, mi sono veramente riposato).
C’è anche la TV, tutto è moderno e commodo, e la prima colazione (compresa nel prezzo) è un buffet con un po’ di tutto.
Ma sorpresa, hanno una strana politica per il wifi – o forse è l’impiegato musulmano che censura gli ospiti : secondo lui, il wifi l’avrei dovuto prenotare al momento della riservazione. Se lo voglio utilizzare, devo pagare per ore, o sennò per soggiorno.
Non è che sia caro, ma non mi è piaciuto questa politica, e quindi ho detto che volevo pensarci su, ma che mi pareva strano, che era la prima volta che mi succedeva così e che non ho visto sulla pagina Booking che ci fosse stato una scelta in questa caso.
©Sergio Belluz, 2017, il diario vagabondo (2017).
Appunti italiani (5): Il viaggio a Pesaro ed il viaggio a Reims
Marinella, che si occupa del Tempio Rossini, ci spiega anche che lì ci sono le ceneri d’Alberto Zedda, il direttore d’orchestra che è stato chiave nella creazione del Festivale e della Fondazione Rossini.
È a lui che si deve la versione storica di ‘Cenerentola’ che, in suo onore – è morto a marzo di quest’anno – è stata ripresentata a Pesaro.
Parliamo anche della prima opera del Festivale, ‘Il Viaggio a Reims’, un primo lavoro della fondazione: una ricostituzione di quest’opera sparita – quindi è stato un avvenimento storico, e di là si deve il fatto di avere ogni anno ‘Il Viaggio a Reims’, un opera emblematica del lavoro della Fondazione e dello scopo del Festivale.
Allora, avevano organizzato un corteo attraverso tuttta la vecchia città. E ci cantarono tuttti i grandissimi cantanti dell’epoca: Lucia Valentini-Terrani, Samuel Ramey, Ruggero Raimondi, Montserrat Caballé (se non mi sbaglio), ed un largo eccetera di stelle del tempo, uno spettacolo diretto da Zedda e trasmesso dalla RAI (si trova probabilmente su Youtube).
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Marinella mi parla della corrispondenza di Rossini, che si può comprare a cinquanta per cento del prezzo – le dico che cinquanta per cento di caro resta pure caro, purtroppo, ma che l’anno prossimo forse... Sogno con poter comprarmi questa corrispondenza, tutto un mondo.
Poi è stato in parte un lavoro dove uno svizzero ha avuto a che fare... e questo sarà forse l’oggetto di una delle mia cronica del blog del ‘Temps’.
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Tanto calore, oggi, sui trentasei gradi. Il mare era bellissimo, con un po’ di vento. Ho camminato un po’ sul lungomare, ho preso ancora parecchie fotografie che ho già messo sulle reti sociali.
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In albergo, buonissima musica jazz. Standards cantati da un’artista giapponese. Ho dato i miei complimento al gerente che è stato sorpreso. Mi dice: “Almeno, quando sono agitati, si calmano colla musica” (non sapevo esattamente se si riferisse al gruppo di gente incapacitata, o agli algri).
Infatti, in un certo senso, siamo tutti incapacitati.
©Sergio Belluz, 2017, il diario vagabondo (2017).
Appunti italiani (4): fritto misto e Pino Silvestre
...Bella siesta, bel pisolino, dopo un delizioso fritto misto (con piadina ed insalata verde, per l’illusione di mangiare sano) allo ‘Stuchin del Port’, una specie di tavola calda informale, dove il piatto si chiede in cassa, si paga – nel mio caso undici euro per un « cono piadina-gamberi-calamari-insalata » e un litro d’acqua frizzante -, si da il nome, e si aspetta al posto che si chiami il cliente.
Ognuno apparecchia da solo, si prende il pane che vuole, l’olio, l’aceto-sale-peppe e si prepara a succhiarsi le dita quando il « Sergio » sonoro risuona sul megafono.
Sono in questa bellissima ‘Baia Flaminia’, dal nome romano, una specie di resort nel nord di pesaro.
E, preso il macchiato, ci si ritorna al lettino ed all’ombrellone, la pancia saziata, si dorme di nuovo profondamente prima di affrontare, alla sera, una grande opera del maestro Rossini.
Evviva le vacanze.
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Il nome del ristorante di questa tavola calda, cioè ‘Lo Stuchin del Port’, viene d’un personaggio popolare di Pesaro, un po’ stupido, che viveva nel porto e che tutti conoscevano.
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L’ho ripreso, questo bus che ti porta gratis al Centro Commerciale Rossini, un po’ fuori del centro di Pesaro. Tra l’altro, si trova proprio al lato del Adriatic Arena, dove presentano le grandi produzioni del festivale Rossini.
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Stammatina, sono andato a fare il bagno alla cosidettta ‘spiaggia libera’ (cioè gratis) , vicino all’albergo ‘Continental’, a cinquanti metri.
La spiaggia sono in realtà alcuni metri quadrati di sabbia non mantenuta, e di questi metri quadrati la maggior parte è occupata da venditori di spiaggia, neri tutti, e non dal sole, che vendono false borse Gucci, Versace o Chanel a turisti italiani, anzi turiste che fanno lo shopping di vacanza... Insomma, la metà della spiaggia è diventata un bazar, un souk, un mercato per il settore ‘informale’ (cioè povero).
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Avevo voglia d’un profumo e sono andato al Douglas locale (il Douglas è una catena inernazionale).
Mi piacciono i profumi semplici, quelli che si trovano nei supermercati, tipo ‘Pino Silvestre’, colla sua bottiglia in forma di pino, sempre mi ricorda mio padre che, ad un certo punto (ero piccolo) ne metteva. È anche, forse, un ricordo di questi falsi pini verdi odoriferi che si mettevano nelle macchine.
Non ho trovato il ‘Pino Silvestre’, ma ho trovato uno dei miei profumi, il classico ‘Paco Rabanne’ per uomo, che ho portato molti anni, alternando con un ‘Vetiver’ di Cacharel che non esiste più oramai (il ‘Vetiver’ d’inverno, il ‘Paco Rabanne’ d’estate). La piccola bottiglia costa sui sessanta euro...
Sono anche passato dal OVS (Oviesse). Mi piace questa catena, che ho visitato parecchio a Venezia, sul Lido – hanno anche una caratteristica, certi blù molto italiani (un blù violaceo, che si trova anche su certi prodotti cosmetici).
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Mi piace la parola ‘borseggiatore’ per il pickpocket : rende bene il lato professionale della faccenda.
©Sergio Belluz, 2017, il diario vagabondo (2017).
Appunti italiani (3): Pesaro Liberty
Bella passeggiata in questo Pesaro che conosco da parecchi anni. Passo dalle eleganti strade burghesi della città, colle sue orgogliose ville di stile Liberty, l’Art Nouveau versione italiana.
Strano come questo movimento dell’Art Nouveau ha avuto tanto successo, in particulare nelle grandi città industriali, colle loro borghesie arricchite che volevano dimostrare tanto la loro ricchezza quanto la loro modernità.
Ma a Barcellona, il movimento si è sviluppato in un’arte nazionalista pieno di fiori, « El Modernismo », nei paesi germanici, è piuttosto concentrato nelle città industriali, o sennò, nei ristoranti o i musei.
Ma in Italia, è stato adattato in un elegante miscuglio tra villa romana e residenza di lusso, ed i dettagli non sono così esagerati come negli altri paesi : tutto è di buon gusto, come sempre.
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Questo ‘Café Journal’ dove scrivo ora è un po’ il luogo gay di Pesaro, molti cantanti d’opera, anche le stelle, ci vengono dopo lo spettacolo, ma anche molti ragazzi abbastanza effeminati, e molto belli, tutti.
Avevo voglia di scrivere un po’ dopo lo spettacolo ('Torvaldo e Dorliska'), che ho appena visto stasera.
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Costosa, la dolce vita in Italia, d’estate. Anzi, costa un’occhio al minimo.
Vabbè, avevo voglia di tuffarmi nel mare, e poi di fare pigrizia, di leggere un po’, di scrivere un po’, d’andare a mangiare qualcosa, poi di ritornare in spiaggia e fare un pisolino, poi tuffarmi di nuovo – la solita vita d’estate, ad agosto, in Italia, insomma.
Ma è ragionevole fare pagare diciotto euro (€18 !) per un letttino ed un ombrellone ? Quando il bagnino m’ha detto il prezzo, ho chiesto cosa sarebbe il criterio ? Cioè, cos’è che costa dieci euro, cos’è che costa otto ? O ciascuno costa nove euro ?
Mi spiega il bagnino, un po’ nervoso, che in realtà pago per due lettini – « E perchè mi fa pagare il secondo, visto che sono da solo ? » - « Meglio essere in coppia », mi risponde, sarcastico. « Ma lo sa che diciotto euro è quasi il prezzo d’un vuolo a Barcellona ? » - « Non sono io che fissa i prezzi, poi c’è il servizio... »
Stanco, ho lasciato perdere, anche se di servizio non c’è proprio niente.
In Italia, il mare è privatizzato. Il turismo è un’industria, l’estate è corta (luglio-agosto, per gli italiani, settembre per gli italiani coraggiosi...), e bisogna fare un massimo di soldi in un minimo di tempo.
©Sergio Belluz, 2017, il diario vagabondo (2017).
Appunti italiani (2): lo stivale italiano ed il telefonino
L'Italia, per la sua forma di stivale, ha qualcosa di fondamentalmente slanciato ed elegante: si va da Nord a Sud, ed il treno può quasi fare il viaggio in linea retta - lo sviluppo dei treni rapidi, dei cosidetti 'pendolini', è stato più facile qua, la geografia aiuta molto.
Da Torino a Brindisi, cioè dalle Alpi al tacco dello stivale, ci vogliono sei ore più o meno - niente. Poi i treni, non è che costino così tanto, comparato colla Svizzera: per esempio oggi, da Milano a Pesaro, faccio quasi mezzo paese e mi costa, in questo treno veloce, cinquantaquattro euro (settantacinque euro, se avessi viaggiato in prima classe).
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Strano che mi sia venuto quest'idea di scrivere in italiano - cioè, questa voglia, anzi, questo bisogno. "O Patria! Dolce e ingrata Patria! Alfin a te ritorno!" canta il Tancredi di Rossini, e potrei riprendere questo canto per conto mio, perchè l'Italia è infatti la terra di mio caro padre, anche se lui è vissuto quasi tutta la sua vita in Svizzera.
Ma è nato ad Ariccia (provincia di Roma) ed è morto ad Aviano (provincia di Pordenone). È vissuto in Italia i primi quindici anni della sua vita, tra Roma in guerra (è nato nel '38), il nostro paesino di Fagnìgola (una frazione d'Azzano Decimo, provincia di Pordenone), e, addiritura, la città di Pordenone, dove ha studiato al 'Villaggio dei Fanciulli'.
E poi, è ritornato al paese natale, ed alle nostre radici, a Fagnìgola, sui sessantadue, per andare in pensione forzata dalla disoccupazione in Svizzera, ed è vissuto fino a settantotto anni, cioè sedici anni "italiani".
Tutto sommato, più di trent'anni in Italia, se facciamo una contabilità sentimentale e patriotica.
Un po' meno che in Svizzera, ma occorre essere giusto: tutti gli anni della prima gioventù contano il doppio, perchè c'è il tempo di viverli e di goderli a fondo.
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Ogni volta che ritorno in Italia, in questo mio primo paese, è un po' come il Ritorno d'Ulisse in patria: Cos'è cambiato? Cos'è rimasto?
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Questo viaggio in treno viene accompagnato da Dave Brubeck, di chi ho due albums, 'Time out' e l'altro 'Time'. Bisogna dirlo: i smarphone ti mettono il mondo nel telefonino.
Aggiungerei: ti mettono il proprio mondo nel telefonino. Vai via colle tue musiche, i tuoi films, le tue fotografie, i tuoi libri, tutto immateriale ma tutto molto presente.
Per me, la musica è sempre stata come i mobili per gli altri: mi occupa lo spazio, mi dipinge le pareti o il cielo, mi decora la mia realtà - mi sposto, ma colla mia roulotte musicale, quest'universo emozionale che nessun oggetto sarebbe capace di creare per me.
Forse è la mancanza di luogo fisso da tanto tempo, da bambino, anzi: colla musica, qualsiasi luogo, anche completamente vuoto, diventa un palazzo.
In questo senso, l'immaterialità delle cose sotto formato digitale la vivo da molto molto tempo, anche se mi piace comprare dischi , libri o DVD, avere l'oggetto in mano o vederlo in una forma o l'altra.
©Sergio Belluz, 2017, il diario vagabondo (2017).
Appunti italiani (1): Milano Centrale
Strano: mi restavano trenta minuti da aspettare per il treno in stazione, e sono andato a mangiare qualcosa nel café del corridoio della stazione di Milano Centrale - sempre questo sistema di "scontrini" che devi comprare prima, dando con anticipo quello che mangerai e beverai - nel mio caso, volevo un panino alla mortadella, ma non ce l'avevano. Ho finalmente preso quello col prosciutto, un macchiato e un bicchiere d'acqua frizzante, tutto per sette euro.
Al momento di dire quello che volevo alla cameriera, impossibile: non trovavo le parole.
Mi fa così quando sto fra varie lingue e che cerco di sceglierne una: a volte non ce la faccio, tutto si blocca.
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Belle, le librerie Feltrinelli nelle stazioni d'Italia! Quella di Milano, o piuttosto quelle (ce ne sono a tutti i livelli), ti danno voglia di comprare tutto, anche se il tutto è piuttosto composto di bestsellers... Poi, in vitrina, una grande fotografia della Magnani, Nannarella.
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Il tempo è bellissimo, caldo senza essere soffocante, e mi rallegro di rivedere il mare, pure l'Adriatico.
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Avrei voluto comprarmi 'L'Espresso', ma poi non ho trovato il solito chiosco che c'era prima. Hanno modernizzato la stazione, che ha perso un po' la sua anima, se si può parlare d'anima per una stazione monumentale ed esemplare, una creazione del regime fascista negli anni trenta...
il fascismo aveva capito l'importanza dei simboli, e questi simboli - della creatività italiana, dello spirito d'impresa, della modernità, dell'industrializzazione... - sono sopravvissuti, perchè in fondo avevano la loro ragione di esistere ed erano anche, oltre la loro rappresentatività politica, ben concepiti, pratici, gradevoli, solidi, utili.
©Sergio Belluz, 2017, il diario vagabondo (2017).
Oriana Fallaci, sulla schiavitù umana.
« Insieme a quelle schiavitù, conoscerai quelle imposte dagli altri e cioè dai mille e mille abitanti del formicaio. Le loro abitudini, le loro leggi. Non immagini quanto siano soffocanti le loro abitudini da imitare, le loro leggi da rispettare. Non fare questo, non fare quello, fai questo e fai quello... E se ciò è tollerabile quando vivi tra brava gente che ha un’idea della libertà, diventa infernale quando vivi tra prepotenti che ti negano perfino il lusso di sognarla, la libertà : realizzarla nella tua fantasia. Le leggi dei prepotenti offrono solo un vantaggio : ad esse puoi reagire lottando, morendo. Le leggi della brava gente, invece, non t’offrono scampo perché ti si convice che è nobile accettarle. In qualsiasi sistema tu viva, non puoi ribellarti alla legge che a vincere è sempre il più forte, il più prepotente, il meno generoso. Tantomeno puoi ribellarti alla legge che per mangiare ci vuole il denaro, per dormire ci vuole il denaro, per camminare dentro un paio di scarpe ci viole il denaro, per riscaldarsi d’inverno ci vuole il denaro, che per avere il denaro bisogna lavorare. Ti racconteranno un mucchio di storie sulla necessità del lavoro, la gioia del lavoro, la dignità del lavoro. Non ci credere, mai. Si tratta di un’altra menzogna inventata per la convenienza di chi organizzó questo mondo. Il lavoro è un ricatto che rimane tale anche quando ti piace. Lavori sempre per qualcuno, mai per te stesso. Lavori sempre con fatica, mai con gioia. E mai nel momento in cui ne avresti voglia. Anche se non dipendi da nessuno e coltivi il tuo pezzo di terra, devi zappare quando vogliono il sole e la pioggia e le stagioni. Anche se non ubbidisci a nessuno e il tuo lavoro è arte cioè creazione, liberazione, devi piegarti alle altrui esigenze o soprusi. Forse in un passato molto lontano, tanto lontano che se ne è smarrito il ricordo, non era così. E lavorare era una festa, un’allegria. Ma esistevano poche persone a quel tempo, e potevano starsene sole. Tu vieni al mondo dopo millenovecentosettantacinque anni la nascita di un uomo che chiamano Cristo il quale venne al mondo centinaia di migliaia di anni dopo un altro uomi di cui si ignora il nome, e di questi tempi le cose vanno come t’ho detto. Una recente statistica afferma che siamo già quattro miliardi. In quel mucchio entrerai. E quanto rimpiangerai il tuo sguazzare solitario nell’acqua, bambino ! »
Oriana Fallaci, Lettera a un bambino mai nato (Milano : Rizzoli, 1975).